Dallo spazio scenico nell’esperienza teatrale alle condizioni strutturali dell’esistenza: Percorsi terapeutici, arteterapeutici e di cittadinanza in salute mentale.

di Simonetta Giustini

In questo articolo si affronterà la significativa questione degli interventi di cura in situazioni di sofferenza psichica.

Quale che sia l’approccio utilizzato, lo strutturarsi di un’alleanza terapeutica con una persona sofferente di disturbi psichici, si basa sulla possibilità di esplorare i livelli funzionali integrati (biologici, psicologici e sociali) considerandoli all’interno del processo maturativo: cogliere la strutturazione dell’Io, che si esprime nel suo essere-nel-mondo [1]. L’attenzione al potenziale espressivo rimanda all’analisi dei meccanismi strutturali dell’Io: componenti corporee elementari, contesti funzionali complessi e processi psicologici integrati che si formano e si consolidano a partire dalle esperienze vissute nel corso dello sviluppo individuale. La relazione con il mondo è premessa ed espressione costante di questo processo maturativo.

Molto spesso, la sofferenza psichica si accompagna a condizioni di isolamento, emarginazione ed autoesclusione che compromettono la vita, non solo la salute. La malattia mentale ne è un esempio. Il disturbo psichico e la difficoltà di entrare e rimanere nel mondo, i meccanismi di adattamento e la fiducia nelle proprie possibilità, il funzionamento sociale e personale, la competenza, il desiderio, le potenzialità ed i contesti di vita… tutto questo e tanto altro viene rimesso in discussione. La sofferenza, la malattia, l’irrazionale, la follia, la differenza, si confondono in un universo dagli incerti confini, che diventa realtà: la realtà della (non) vita del “paziente psichiatrico”. Un’identità di malato, non la malattia di una persona.

Gli strumenti di analisi di tali condizioni di disagio assumono, evidentemente, un alto valore antropologico, necessario per uscire dalle categorie predefinite di normalità/follia, salute/malattia e poter cogliere le modalità particolari con le quali si esprime al mondo ogni umana presenza. Occorre considerare, ed evitare, il rischio di assolvere ad una funzione normalizzante, riducendo le differenze, e salvaguardare tutto ciò che è “tipico” nella struttura dell’Io, distinguendolo dal “patologico”.

Questo processo di avvicinamento antropologico alla assoluta unicità di ogni esistenza umana non è affatto un processo “naturale”. Né l’incontro con il mondo esterno può essere considerato dipendente solo da fattori riconducibili ai singoli interlocutori.

“Essere-nel-mondo” [2] è il prodotto di una serie di fattori: le caratteristiche di personalità, le capacità di adattamento, la pervasività del disturbo, la soggettività dell’esperienza, ma anche di fattori esterni all’individuo, che diventano determinanti sociali del comportamento (fattori economici, storico-politici, credenze religiose, etc.). Tutto ciò concorre a determinare la variabilità dell’esperienza concreta, l’efficacia e la forma dei comportamenti dei singoli.

Incontrare l’Altro significa riconoscerlo come polo di una dialettica ed entrare “in un mondo nuovo” [3], con effetti trasformativi sull’assetto delle conoscenze e sulla strutturazione dei rapporti sociali. Il riconoscimento della diversità come parte del mondo comporta, in Salute Mentale, affrontare la questione del malato mentale non come un elemento di disturbo, ma come disturbo che rimanda ad una dimensione esistenziale.

Dunque, anche l’intervento arteterapeutico , quando è rivolto a condizioni di esclusione sociale, deve potersi collocare in un progetto di presa in carico (multidisciplinare e multicontestuale), che coinvolge le concrete coordinate sociali. Prendere in diretta considerazione i contesti, per agire sugli stessi; attivare un’interazione dinamica con l’ambiente.

E’ in quest’ottica che si colloca il piano integrato di interventi attuato dal Servizio di Salute Mentale (attività di Coordinamento dei Progetti Terapeutici con gli Inserimenti Lavorativi – DSM ASL Roma B) e la Compagnia teatrale Panta Rei, rivolta ad utenti del DSM. Un’èquipe di lavoro integrata (psicologi, assistenti sociali, registi, attori) che, insieme agli utenti, si impegna nella costruzione di percorsi psicosociali di integrazione sociale: formativo-lavorativa e culturale.

Si tratta di interventi complessi, che implicano il coinvolgimento di componenti esterne al SSM, riconducibili ad organizzazioni e culture aziendali, agli aspetti relazionali dei gruppi di lavoro e di formazione, ma anche ai contesti dell’esperienza teatrale. Tali interventi prevedono al loro interno l’attuazione di un percorso di realizzazione del Sé, considerando ad un tempo il piano espressivo-emozionale e lo spazio di cittadinanza, nell’idea che il diritto di esistere ed il sentimento del diritto di esistere [4], sono componenti entrambe fondamentali e strutturanti del progetto terapeutico. In questo complesso processo la presenza dell’équipe di riferimento, attivandosi nella sua funzione di mediazione, può riconnettere il piano cognitivo-emozionale con le esperienze concrete, condividendo in tutte le sue articolazioni l’obiettivo fondamentale della finalizzazione di tutte le esperienze (formative, lavorative, teatrali) all’attivazione di uno scambio reale con il mondo. Gradualmente, i diversi piani dell’esistenza assumono una coerenza interna, un significato egosintonico: gli accadimenti esterni diventano eventi rilevabili soggettivamente, componenti di una storia personale che si ricostruisce, permettendo alla persona sofferente di sperimentare una continuità dell’esistenza. L’asse dell’intervento è nella possibilità di promuovere funzioni riflessive ed esperienze di vita, a partire dal coinvolgimento concreto in contesti formativo-lavorativo e teatrali. L’adozione di ruoli adulti nei diversi contesti ha effetti diretti sull’autorappresentazione del Sé (e anche sull’idea che hanno gli altri del “paziente psichiatrico”), che potrà ricostruirsi e confermarsi, portando gradualmente la persona ad attivarsi, a “fare” ed a “saper fare”.

Sono tre gli ingredienti fondamentali di tale processo: 1) il progetto terapeutico-riabilitativo deve basarsi su una coerenza interna forte, a partire dalla considerazione delle peculiari potenzialità dell’utente; 2) è necessario che si instauri una forte alleanza terapeutica con l’èquipe di riferimento, che può assumere, in alcune fasi, funzioni vicarianti dell’Io; 3) l’intervento è attuabile solo da un’èquipe multidisciplinare prevedendo più azioni in contesti differenti.

La metodologia dell’intervento si è andata delineando partendo dalla pratica, attraverso:

–          la creazione di vicinanze e consapevolezze; di un “fare” legato al senso sociale, intersoggettivo, di ciò che accade;

–          un’apertura del servizio di salute mentale al territorio, uscendo dal circuito sanitario, creando poli referenziali esterni, valorizzando competenze tecniche e capacità espressive;

–          l’attribuzione di ruoli attivi;

–          il pensare “per storie” [5], cioè attraverso i contesti della continua interazione.

Su tali presupposti, a partire dal 2003, si è consolidata una collaborazione tra servizio di salute mentale e compagnia teatrale, finalizzata a costruire percorsi per valorizzare il malato mentale come soggetto competente. In un fare comune si continua a riconoscere la necessità e la possibilità di ripristinare un flusso di esperienze concrete, creando le condizioni perché funzioni significative dell’Io possano esprimersi. Il sociale, il produttivo, il culturale, l’etico-normativo, vengono direttamente coinvolti nella costruzione di percorsi psico-sociali finalizzati alla cura ed alla promozione del benessere.

Nel nostro caso, l’integrazione degli interventi formativo-lavorativo ed arte-terapeutici si fonda sulla necessità di non costruire realtà illusorie. A seconda del contesto in cui si colloca, infatti, l’intervento arteterapeutico, così come ogni altro tipo di intervento terapeutico, può avere una funzione evolutiva oppure delinearsi come attività espressiva, che poco incide sulle potenzialità reali del paziente, mai sganciabili dall’esercizio dei diritti di cittadinanza. L’arteterapia entra a far parte del progetto di presa in carico dell’utente, coinvolgendo le concrete coordinate sociali. L’esperienza teatrale risulta particolarmente significativa, perché idonea a mobilitare specifiche modalità di contatto interpersonale e vissuti psicofisici, promuovendo capacità adattive, comportamenti assertivi e capacità di esprimersi nel mondo, ma il tutto deve potersi collocare in uno spazio concreto, interpersonale e sociale.

Ciò a condizione di non colludere con meccanismi di delega istituzionale a gestire la follia in luoghi altri, conducendo attività finalizzate alla costruzione di identità illusorie, riproponendo una generale sfiducia nelle possibilità reali di cambiamento sociale ed agendo una funzione di tutela nei confronti di una normalità che, escludendo la diversità, diventa omologazione, rigida ed autoreferenziale.

Le artiterapie, per l’attenzione sul potenziale creativo e l’alto valore espressivo, più di altre forme di intervento terapeutico, possono essere utilizzate a scopo di mero “intrattenimento”[6]. La collaborazione con i servizi di salute mentale per l’attuazione di un percorso terapeutico-riabilitativo finalizzato alla collocazione del “paziente psichiatrico” nello spazio sociale (lo spazio della collettività), permette di contrastare tale rischio,  recuperando un valore antropologico ed una pedagogia dell’arte in grado di  proporre progetti di cambiamento e di promozione del benessere comuni ai sani ed ai malati.

Fonte: NUOVE ARTI TERAPIE

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