Fame d’aria

di Laura Bianchi

Daniele Mencarelli nasce poeta, e successivamente raggiunge la notorietà con un romanzo, La casa degli sguardi, ambientato prevalentemente in un manicomio, visto dagli occhi di chi ci lavora, e insieme cerca, chiede salvezza fra quelle mura. E in quelle mura viene rinchiuso il protagonista del celebre Tutto chiede salvezza, Premio Strega Giovani 2020, di cui ho scritto qui.

Ma Mencarelli non dimentica mai di essere prima di tutto un poeta, anche se quel romanzo gli ha dato fama e apparente agio, grazie anche a una serie TV molto seguita. Ma l’agio, un poeta vero, non sa nemmeno cosa sia: e infatti i due romanzi successivi sono altrettanti colpi bassi al lettore, un uno – due che lo stende al tappeto, tanto sono diversi tra loro, eppure ugualmente coinvolgenti e provocatori. L’ultimo, in particolare, Fame d’aria, sembra scritto apposta per coinvolgere e destabilizzare, per disturbare e scavare nel profondo delle ipocrisie comode di ciascuno di noi.

Ci vogliono poche pagine, per capire che il protagonista vero dell’azione, in questo caso, non è Pietro Borzacchi, che è costretto col figlio Jacopo a una sosta inaspettata, un venerdì pomeriggio, nel paesino desolato di Sant’Anna del Sannio, a causa di un guasto alla sua Golf scassata. Anche se il lettore è portato a immedesimarsi e provare empatia per colui del quale la voce narrante descrive azioni, emozioni e avventure – o disavventure -, è chiaro che il fulcro dell’azione è Jacopo, affetto da autismo a bassissimo funzionamento, un diciottenne bellissimo e inabile alla vita, che Pietro deve accudire come un bambino di pochi mesi. Il padre soffre indicibilmente, e ha sviluppato, negli anni, un odio che è divenuto rabbia cieca (l’odio. Ha ricoperto tutto, i sani e i malati, la vita intera. Per anni è stato così. Poi pure l’odio è tramontato. Resta la rabbia, quando esplode), e nella quale Pietro è rinchiuso, claustrofobicamente, abbandonato dagli amici, dallo Stato (“Il figlio malato te lo manda il destino, e io non so dove andarlo a cercare per mettergli le mani addosso, ma non è solo quello che ti consuma, ci sono tanti, tanti maiali. Gente che dovrebbe aiutarti. Ma chi ti aiuta? Nessuno.”), in silenziosa, astiosa, competizione con l’amore incondizionato della moglie, alla ricerca di un senso che non arriva mai.

Così, Pietro lascia esplodere la rabbia dentro di sé: chiama il figlio Scrondo – mostro televisivo degli anni Ottanta, verde, goffo, sdentato, repellente -; inveisce contro di lui e i suoi “mmmmm” inespressivi, bimbo in un corpo adolescente; provoca gli altri con frasi apparentemente indifferenti, per escluderli dal proprio dramma personale: quando descrive il figlio dicendo «Non parla, da solo non fa nulla, si piscia e caca addosso, ottiene sempre una stessa reazione:
Pietro, da grande attore, la ripete ogni volta sperando nel successo, e per lui il successo è uno solo.
Il silenzio.
Togliere al mondo la voglia di parlare, continuare a chiedere.
Soprattutto, Mencarelli libera Pietro degli stereotipi che ammantano la figura del padre, e lo tratteggia come uomo indeciso, fragile, irresoluto, egoista, fallibile, decostruendo pregiudizi falsi e convenzioni ipocrite, e restituendoci una figura vera, vibrante, indimenticabile.

Eppure, se tutto chiede salvezza, questa non si svela che per frammenti umani, di un’umanità derelitta, che si è rifugiata in un lembo estremo d’Italia forse proprio per cercarvi salvezza: la profondità della psicologa Gaia, la generosità del meccanico Oliviero, la rude semplicità della locandiera Agata e di alcuni suoi commensali, potranno restituire a Pietro un po’ d’aria, di cui ha così tanto bisogno? Potranno, padre e figlio, respirarsi in modo diverso, al riprendere il loro viaggio verso il mare? Domande aperte, insolute, a cui solo la vita e il destino potranno rispondere.

Romanzo complesso, avvincente, poetico, da leggere con rispetto e attenzione, proprio come una raccolta di poesie (di Mencarelli, buon viatico alla lettura è la raccolta Figlio, del 2013); ci auguriamo che di questo non venga tratta una banalizzazione a uso televisivo, ma ne venga lasciato intatto l’incanto che solo la lettura può dare.

Daniele Mencarelli nasce a Roma, nel 1974. Le sue poesie sono apparse su numerose riviste letterarie e in diverse antologie tra cui L’opera comune (Atelier) e I cercatori d’oro (clanDestino). Le sue raccolte principali sono: I giorni condivisi, (clanDestino, 2001), Guardia alta (La Vita felice, 2005).

Con Nottetempo ha pubblicato Bambino Gesù (vincitore del premio Città di Atri, finalista ai premi Luzi, Brancati, Montano, Frascati, Ceppo) nel 2010 e Figlio nel 2013. Del 2018 è il suo primo romanzo La casa degli sguardi, Mondadori (premio Volponi, premio Severino Cesari opera prima, premio John Fante opera prima), nel 2020 esce Tutto chiede salvezza, nel 2021 Sempre tornare e nel 2023 Fame d’aria. Collabora scrivendo di cultura e società con quotidiani e riviste.

Fonte: Mescalina

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