Animenta, la rete che combatte l’isolamento

di Anna Giuffrida 

Un progetto creato da due giovani professioniste con esperienze di disturbi alimentari alle spalle diventate un punto di riferimento a sostegno delle fragilità, «Raccontare per sensibilizzare»

“Troppe e troppi ne soffrono. Nessuno ne parla”. Da frase scritta su uno striscione alla realtà, passando dai social. Quella dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) è una condizione di invisibilità e di solitudine che coinvolge oltre 3 milioni di persone. Un dato cresciuto negli ultimi cinque anni, complice la pandemia, quando i casi erano 680mila.

Serve “raccontare per sensibilizzare”, anche evitando gli stereotipi sia sul corpo che sulla salute mentale. Con questo motto l’Associazione Animenta si impegna nella divulgazione e nel supporto alle persone affette dai Disturbi del Comportamento Alimentare. «Il disturbo alimentare è una patologia psichiatrica che, più di tutte probabilmente, ha dei risvolti importanti a livello fisico – spiega Laura Montanari, psicologa clinica, counselor, socia fondatrice e vicepresidente di Animenta -. Spesso, però, il corpo non fa diagnosi, non parla. Così, una persona che soffre di bulimia potrebbe essere normopeso ma a livello comportamentale manifestare difficoltà, come fare dieci ore di attività fisica al giorno o indursi il vomito anche 10-15 volte al giorno». Esperienze e storie di vita raccontate da chi ha vissuto la malattia diventano, nel progetto di Animenta, anche preziosi momenti di incontro e i social uno dei luoghi da cui ripartire.

Come è successo alle fondatrici dell’associazione, durante i mesi della pandemia da Covid. «Animenta come realtà associativa nasce nel 2021, ma lavoriamo al blog e ai post sul canale Instagram dal 2020. Per forza di cose abbiamo dovuto muoverci online – racconta Laura Montanari, che ha fondato Animenta con Aurora Caporossi presidente dall’associazione – Aurora e io siamo vicine di casa e, ai tempi delle ‘zone rosse’, abbiamo cominciato a parlare e a creare i primi contenuti sui social. Abbiamo iniziato a fare iniziative live come Let’s Eat Together. Si tratta di cene virtuali, diventate appuntamenti fissi una volta al mese, dove le persone si possono prenotare gratuitamente e condividere il momento del pasto, che è quello più delicato. Non si è obbligati a consumare un pasto durante la chiamata. Semplicemente si sta insieme, si chiacchiera come fosse un pranzo tra amici. Appena è stato possibile abbiamo iniziato a lavorare anche in presenza, portando il progetto nelle scuole. Poi, grazie alla collaborazione con la Fondazione Cotarella, sono nati i laboratori di cucina e gli aperitivi lilla. Aperitivi sociali dove, anche qui, non sei obbligato a consumare». Montanari prosegue: «Il concetto del cibo è centrale, perché si vuole provare a ricostruire la quotidianità. Quando vivi un disturbo alimentare, anche un momento come l’aperitivo può diventare insormontabile». 

Una malattia che è trasversale, ormai. Si comincia fin dalle scuole elementari: «Adesso l’età si è abbassata, e già i bambini di 8-10 anni manifestano dei sintomi», precisa Montanari. Un disturbo che, pur rimanendo prevalentemente femminile, coinvolge anche i ragazzi che «a causa di una narrazione a senso unico non si sentono in diritto di chiedere aiuto. Online ci arrivano richieste di aiuto in qualsiasi forma, anche da persone adulte, che sono quelle che più faticano ad essere prese in carico dalle realtà pubbliche, nella convinzione che i DCA siano patologie adolescenziali». Ed è sul tema delle cure che si concentrano le battaglie della rete nazionale del Movimento Lilla, di cui fa parte Animenta. Ogni anno si registrano 4mila morti, dovuti alle complicanze da DCA, a causa di diagnosi tardive o per non avere preso in carico i pazienti in tempo. 

I disturbi dell’alimentazione richiedono l’intervento non solo di psicologi o psichiatri, ma di un équipe multidisciplinare che possa comunicare tra specialisti sullo stato di salute dei pazienti. «Questa cosa non è quasi mai possibile, perché al Nord ci sono molte più risorse e strutture residenziali rispetto al Sud – fa sapere Laura Montanari -. L’Umbria è la regione con i servizi più completi. Il Molise, invece, non ha nulla. Altro problema sono le esenzioni: ad esempio, il disturbo da binge eating (alimentazione incontrollata ndr) non ha esenzioni». Carenze, strutturali economiche e culturali, che non sembrano trovare soluzione nel fondo straordinario di 10 milioni di euro annunciato dal Ministero della Salute, che dovrebbe prendere corpo da aprile nel decreto Milleproroghe. Un fondo che vorrebbe compensare il mancato rinnovo della Legge di Bilancio del 2021, che destinava 25 milioni per i disturbi alimentari. Il Ministero non ha tenuto conto delle richieste, fatte dal Movimento Lilla, di scorporo dei DCA all’interno dei LEA, Livelli essenziali di assistenza, destinati alle malattie psichiatriche. Un intervento che garantirebbe un percorso di cura e un budget autonomo, destinati ai disturbi alimentari. E azzererebbe le morti. 

Dieci milioni che non rappresentano un traguardo, ma un punto di partenza. «Una volta finiti questi fondi, cosa dobbiamo fare? Dobbiamo tornare in piazza, a batterci?», si chiede laconica Laura Montanari.

Fonte: SPAZIO 50

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