Dalla Prima alla Seconda Conferenza Nazionale per la Salute Mentale: aspettative e risultati.

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di Girolamo Diglilio

Venti anni sono trascorsi fra la prima e la seconda Conferenza ma pochi o forse nessuno ha indugiato sul significato di questo lunghissimo intervallo che è stato contrassegnato da una forte accelerazione del processo di involuzione culturale e politica iniziato nell’ultimo decennio del secolo scorso e tuttora in corso nel nostro Paese.

La Prima conferenza per la salute mentale è stata un evento di grande rilevanza culturale e politica che ha coronato una stagione di importanti conquiste del movimento per la difesa della dignità e dei diritti civili delle persone con sofferenza mentale, una stagione iniziata nei primi anni ‘60 con la rivoluzionaria attività di Franco Basaglia e dei suoi allievi e collaboratori a Gorizia e poi a Trieste: un periodo di grande fervore innovativo che portò, dopo l’approvazione della legge 431/1968, o legge Mariotti, che potenziava il personale dei vecchi Centri di igiene mentale, all’approvazione , nel maggio 1978, della legge 180, all’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale universalistico nel dicembre dello stesso anno, alla promulgazione con decreto del Presidente della Repubblica, nell’aprile 1994, del primo Progetto Obiettivo salute mentale, a quella del secondo Progetto Obiettivo nel novembre 1997 e, finalmente, nel gennaio 2001, alla Prima Conferenza Nazionale salute mentale che si proponeva di fissare gli obiettivi di salute mentale da raggiungere nei primi decenni del nuovo secolo.

Questa Prima Conferenza fu proposta e sostenuta con grande forza da Ernesto Muggia e da Carlo Volpi, pionieri del movimento degli utenti dei servizi e dei famigliari delle persone con sofferenza mentale e fondatori dell’UNASAM, Unione Nazionale Associazioni per la Salute Mentale, i quali riuscirono a coinvolgere nel progetto anche alcune storiche associazioni di famigliari inizialmente contrarie alla riforma propugnata da Franco Basaglia.

Indetta dal Presidente del Consiglio Giuliano Amato, la Conferenza ebbe luogo nell’Aula Magna dell’Università La Sapienza di Roma con la partecipazione del Ministro della Sanità Umberto Veronesi, del Presidente della Camera Luciano Violante, del Ministro degli Affari Sociali Livia Turco, del Ministro della Giustizia Piero Fassino, del Presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Provincie autonome Enzo Ghigo, del premio Nobel Rita Levi Montalcini ed altri.

Se la prima conferenza concludeva nella prospettiva di un ulteriore sviluppo un periodo storico di grande valore, paradossalmente l’obiettivo della seconda conferenza è quello di riprendere in mano una riforma rimasta drammaticamente a metà e di riparare i danni di una rovinosa, pressoché ventennale, involuzione del sistema intervenuta nell’ambito di un processo di aziendalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e di una sostanziale privatizzazione della sanità che, in particolare, ha portato allo smantellamento dei Centri di Salute Mentale CSM, spesso ridotti a meri dispensari di psicofarmaci nonostante l’impegno degli operatori costretti a svolgere la loro attività in condizioni di grave disagio per la scarsità numerica del personale e le conseguenti carenze dell’organizzazione complessiva. La scarsa presenza dei servizi nel territorio ha prodotto non solo una grave insufficienza della presa in cura, della prevenzione dell’aggravamento, o prevenzione secondaria, e della riabilitazione sociale e lavorativa delle persone con sofferenza mentale e quindi tassi troppo elevati di cronicizzazione e di progressiva disabilitazione, ma anche un grave deficit della prevenzione primaria attraverso il controllo delle componenti che determinano lo stato della salute mentale della collettività quali le condizioni di vita ambientali, famigliari,  lavorative, ecc..

Un  grave ed evidente effetto della mancata  o insufficiente presa in carico territoriale è rappresentato, oltre che dal contenimento dei  sintomi mediante trattamenti massivi e di lunga durata con psicofarmaci, dal facile ricorso a TSO e a ricovero in SPDC, solo in alcuni dei quali è stata abolita la contenzione meccanica mentre in altri questa pratica è tuttora utilizzata, in rari casi anche routinariamente.     

Parallelamente si è consolidato, con costi enormi per la collettività, un sistema di istituzionalizzazione neo-manicomiale costituito da una vasta rete di strutture, per lo più private, cosiddette, “residenziali”, che ospitano alcune centinaia di migliaia di pazienti. E’ stata cioè messa in atto nella pratica quotidiana, spesso con il coinvolgimento più o meno consapevole di operatori, pochi e spesso burocratizzati, e di famigliari rassegnati, una strisciante controriforma con nuove e subdole forme di istituzionalizzazione che Franco Basaglia aveva sempre lucidamente messo nel conto esortando i suoi collaboratori alla vigilanza e alla difesa.

Non c’è dubbio che la forte e appassionata partecipazione alla seconda Conferenza di quanti, famigliari e loro associazioni, operatori sanitari, rappresentanti della Cooperazione sociale e del mondo imprenditoriale, ecc., non hanno cessato di battersi con grande tenacia e coraggio contro la cura intesa come isolamento e repressione del paziente, conferma il profondo radicamento nella società civile dei valori di prossimità umana e di solidarietà che sono alla base dell’insegnamento di Franco Basaglia e del suo modello di intervento la cui efficacia terapeutica e riabilitativa è stata scientificamente dimostrata negli ultimi decenni tanto da essere proposto dall’Organizzazione mondiale della sanità come esempio mondiale di rete integrata di servizi per la comunità.

La seconda conferenza per la salute mentale, che si è svolta al culmine di un lungo periodo di degrado culturale, politico e sociale pone perciò all’ordine del giorno la necessità, condivisa da rilevanti quote della popolazione e della classe politica, del superamento di paradigmi ormai obsoleti nella scienza e nella pratica della psichiatria.

Tutto ciò non può che richiamarci all’importanza dell’impegno di ciascuno di noi per evitare l’inerzia, l’ulteriore degrado della situazione o, come accade assai di sovente nel nostro Paese, gattopardesche soluzioni.

Girolamo Digilio, 13-09-2021

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